GIORNO DELLA SUA RICORRENZA
DONAZIONE DI
Anna L.
IL RICORDO
anno era ? Il 2016? Prima? – eravamo dieci, tre non ci sono più”. Tra quei tre c’è suo marito Piero, morto nel settembre del 2022. Prima, nel 2019, era toccato a Roberta. Il 12 novembre del 2022, dopo anni di una lunga malattia che gli aveva concesso uno stile di vita tutto sommato normale, anche Roberto ci ha lasciato. Era, tra noi, il più anziano; ma tuttavia, alla data della morte, ancora non aveva raggiunto gli ottanta anni. Il suo compleanno era in marzo, il quindici. Lo andavamo a festeggiare ogni tanto a Gabicce, in casa del suo amico cuoco Valter, che ci preparava uno strepitoso pranzo di mare. Formavamo una tavolata numerosa, una dozzina o più. I maniaci delle foto hanno depositato di quelle tavolate ricordi visivi indelebili nei telefoni o nei computer di ognuno dei commensali. Valter ci preparava almeno sei diversi antipasti: gamberetti in salse varie, succulente chioccioline di mare, molluschi e crostacei d’ogni sorta. Agli antipasti facevano seguito sempre due primi piatti con pasta regolarmente fatta a mano e due secondi. Il tutto era annaffiato da abbondante vino a cui pensavamo noi ospiti, anche se non mancava il vino della casa. E infine i dolci: oltre a quelli che portavamo noi da Bologna, Valter ce ne faceva trovare due diversi, anche questi di sua produzione. Ci alzavamo da tavola sazi fino alle orecchie, beati e alticci, e andavamo a camminare per strade attraverso i campi, o fino a Pesaro e Cattolica in auto, per passeggiare poi lungo la spiaggia. In Sicilia, dunque, eravamo dieci. Noleggiammo, all’arrivo, due auto. Soggiornavamo a Trapani; visitammo Mozia, Erice, ci spingemmo fino a Mazara del Vallo, Marsala, Selinunte. Andammo nella valle del Belice per vedere il cretto di Burri, e ancora poi a Segesta. Il due di novembre, ricordo, il tempo era così bello che ci tuffammo tutti in mare a Scopello, chiassosi e felici come bambini, per l’ultimo bagno della stagione. Un viaggio bellissimo: ottimo cibo, tempo splendido, luoghi meravigliosi e i siciliani sempre accoglienti e gentili. Mara si riferiva alla foto in cui ci siamo tutti, seduti sui gradini di un tempio a Selinunte, mentre Marilisa ricorda, leggendolo a voce alta sulla guida, il mito di Proserpina. Roberto ed io eravamo i più mattinieri. Ci incontravamo a colazione nella sala dell’albergo ed è stato lì che abbiamo fatto amicizia. Lo conoscevo già da alcuni anni, ma fino a quel momento non avevamo mai viaggiato insieme. Ci raccontammo, così, molte cose di noi, finché non arrivavano anche gli altri amici. Uno o due anni dopo venne da me in Sardegna, insieme a Roberta e Stefano. Ho rivisto da poco, per caso, nel computer, le foto di quei giorni. Immagini di serenità: mentre camminiamo lungo gli stagni nella luce calda del tramonto, beviamo una birretta in uno dei bar del centro storico o riposiamo in terrazza. In una di queste foto Roberto, a torso nudo, scrive concentrato in uno dei suoi taccuini. E’ una foto che gli ho scattato io, ricordo, ed è una bella foto. Sono rimasta a guardarlo stupita: è così vivo, pare che da un momento all’altro possa sollevare la testa e rivolgerla verso di me. Così, del resto, mi sembra abbia fatto in quel momento, quel giorno di quell’estate in Sardegna. Con altri del gruppo ci incontravamo nelle case dell’uno o dell’altro a Bologna per cene o merende. Avevamo instaurato un rito: ci ritrovavamo poco prima o subito dopo Natale in casa di Marinella, l’unica a possedere un tavolo sufficientemente capiente. Era una delle tante occasioni per farci gli auguri di buon anno e rinnovare, festeggiando, l’amicizia. In gruppi più piccoli visitavamo delle mostre, in città o altrove. Spesso arrivavo fino al parco Nicholas Green, vicino a casa di Roberto, dove ci incontravamo per una passeggiata; oppure passavo da lui per poi andare insieme al MAST dove, a volte, mi chiedeva d’accompagnarlo con i suoi nipotini. Al secondo piano della villetta ereditata dai genitori in via Battindarno, Roberto ospitava da anni una famiglia di tunisini. Inizialmente era arrivato l’uomo che, poi, si era sposato; negli anni successivi, uno dopo l’altro, erano nate due bambine e poi un bambino, a cui Roberto era molto affezionato. La sua unica famiglia “di sangue” era costituita da una cugina più anziana di lui. I tunisini erano così diventati la sua famiglia. Roberto si occupava dei bambini che erano diventati i suoi nipotini, li accompagnava a scuola, ritornava a prenderli all’uscita, li portava al parco, al teatro Testoni, al cinema, al MAST quando c’erano attività che potessero interessarli o la proiezione di un film d’animazione. Molto altro ha fatto, il nostro amico, per queste persone che erano diventate la sua famiglia, fino a lasciar loro in eredità la casa e tutti i suoi beni. Roberto era omosessuale. Nei momenti delle confessioni e delle confidenze ci raccontava la storia e le vicende della sua evoluzione, dalla prima relazione non andata a buon fine con una giovane tedesca, fino alla scoperta del suo interesse per i maschi. Abbiamo conosciuto tre dei suoi ex amanti ma, negli ultimi tempi, aveva “tirato i remi in barca” – ci diceva – a causa del tumore alla prostata che curava da anni al Bellaria. Il filo conduttore della sua vita era stato la ricerca della bellezza e dell’amicizia. L’amore per l’arte e il senso dell’amicizia ci accomunavano. Roberto era innamorato di tutte le manifestazioni del bello. Fra gli artisti prediligeva Raffaello ma era attentissimo anche agli artisti contemporanei ed era sempre informato su mostre, installazioni, manifestazioni artistiche di ogni genere che ci proponeva perché ne godessimo insieme. Era, Roberto, uno dei rari bolognesi veri del nostro gruppo di amici e, come tale, ci ripeteva all’occorrenza i modi di dire imparati dalla mamma. Gli piaceva raccontarci episodi e avventure della sua giovinezza e ripeterli se nel gruppo capitava una persona nuova o anche a beneficio degli amici di vecchia data che chiamava “i miei amici giovani” anche se, in realtà, gli anni che ci separavano non erano poi così tanti. Aveva lavorato, a suo tempo, alla sceneggiatura di alcuni lavori teatrali di cui andava fiero. Nelle pareti dello studio, in casa sua, si trovavano alcune locandine di questi spettacoli. Credo che Roberto non abbia mai cucinato neppure un semplice uovo sodo: la famiglia tunisina gli mandava giù la cena, di sera, con uno dei bambini; oppure era lui a salire per la cena da loro, al secondo piano. Quando andava a trovare il suo amico Valter in Romagna, ritornava a Bologna con una borsa piena di contenitori e vasetti di cibi pronti che congelava e scongelava giorno dopo giorno. Finite le provviste, si rivolgeva alla vicina rosticceria. Gradiva gli inviti a cena e, se andavamo da lui, ognuno portava qualcosa. Mangiava con lo stesso piacere con cui ammirava un’opera d’arte e sapeva godere delle cose buone. Era, anche, molto goloso. Il suo appartamento, al piano rialzato della villetta di Santa Viola, era circondato da un giardino in cui svettava una grande quercia, piantata da suo padre quando lui era nato. C’erano anche un fico, un melo, un susino. Lo visitava, a volte, la sera, un porcospino a cui Roberto posava in un angolo bucce di frutta e foglie d’insalata. La sua era la casa di un esteta. Aveva comperato, negli anni, dai suoi antiquari di fiducia, diversi bei quadri di artisti bolognesi e non, ed aveva alcuni oggetti di bella fattura in soggiorno e nello studio. Al primo piano affittava due appartamentini. In uno di questi viveva un signore che spesso non poteva pagare; ma Roberto pazientava e si accontentava di ciò che lui gli dava quando poteva. La madre di quell’inquilino aveva vissuto lì, ai tempi dei suoi genitori e anche per questo Roberto non se la sentiva di mandarlo via. Nell’altro, dirimpetto, abitava una vecchissima signora che morì quasi centenaria. Ho incoraggiato Roberto, più volte, a scrivere le sue memorie. Nella sua casa si erano alternate persone pittoresche e vicende molto interessanti e sarebbe stato un peccato perderle, non raccontandole anche sulla carta. Solo negli ultimi due anni iniziò a scrivere e inviare a me e alcuni altri dei suoi amici alcune di quelle sue storie che avevamo ascoltato tante volte. Quando ce ne furono una decina le raccolsi in un volumetto. Era a quel punto, il nostro amico, già allettato. Cercai di sbrigarmi. Quando il libro fu pronto, però, Roberto era appena morto. So che gli avrebbe fatto un immenso piacere e provo un grande rammarico per non essere riuscita a darglielo in tempo. Fra queste sue storie, c’è quella della sua zia staffetta partigiana, di cui era molto orgoglioso. L’ultima volta che l’ho visto, oramai inchiodato al letto speciale fornito dalla Asl, con le gambe gonfie e doloranti, raccomandò a me e all’altra amica presente i suoi nipotini; poi, pensieroso, disse: “non ho mai fatto del male a nessuno”, quasi chiedesse conferma a noi che, in un’altra eventuale realtà altrove, non avrebbe dovuto sopportare altre pene. Non era credente, Roberto, ma volle un funerale nella vicina chiesa di San Girolamo, nella Certosa. Era affascinato dai riti della Chiesa, a cui era grato d’aver saputo custodire tante opere d’arte. E, così come aveva vissuto, avrebbe voluto morire in bellezza. Amava molto Mina, e aveva scelto per la funzione funebre il Magnificat cantato da lei. Per fortuna i morti non vedono e non sentono: è stata una commemorazione infelice, dall’inizio alla fine. I suoi protetti non sono entrati in chiesa se non all’ultimo momento: pare che il loro Imam non avesse consentito alla loro partecipazione. I bambini erano rimasti a casa. Il prete era stato molto spiccio nel ricordare Roberto, pareva non vedesse l’ora di farla finita. Giunto il momento del Magnificat, aveva accostato un telefonino, su cui la voce di Mina era stata registrata, ad un microfono: una cosa orribile, straziante. Abbiamo saputo che nel suo bell’appartamento sul giardino si è trasferita la sua famiglia adottiva, che quadri e arredi sono stati venduti, trasformati i locali. I suoi numerosi diari, che avremmo voluto ereditare e portare all’archivio di Pieve, sono stati con ogni probabilità distrutti. Abbiamo sperato che gli eredi ci convocassero per affidarci un ricordo del nostro amico, ma così non è stato. Fino a non molto tempo fa nella vetrina dell’antiquaria di via Lame c’era ancora, appeso al muro, il grande quadro con la bambina vestita secondo la moda di inizio ‘900 che occupava una delle pareti accanto alla finestra del suo soggiorno. Un giorno sono entrata ed ho chiesto: era stato lasciato lì in conto vendita. Ricordiamo tutti con un po’ di malinconia la sua bella casa tanto accogliente, che non esiste più. Di Roberto resta solo la sua memoria in ognuno di noi. Non è poco, comunque.
