Gaddo Flego / Un milione di vite – attivalamemoria

Gaddo Flego / Un milione di vite

(2 recensioni dei clienti)

 12,00

Un milione di vite
Un medico ricorda il genocidio in Rwanda 
prefazione di Pietro Veronese
Milano, Terre di mezzo, 2015
pp. 128

 

Descrizione

Gaddo Flego
Un milione di vite

Un medico ricorda il genocidio in Rwanda 
prefazione di Pietro Veronese
Milano, Terre di mezzo, 2015
pp. 128 – € 12,00

Il racconto del dottor Flego è […] unico. Egli entra infatti in Rwanda dall’Uganda nel giugno del 1994 e si trova a compiere la sua missione umanitaria, come volontario di Medici senza Frontiere, nelle zone controllate dal Fronte patriottico ruandese. Vi resterà fino a guerra finita. C’erano, in quelle settimane e in quella parte del Paese, pochissimi espatriati. L’eccezionalità di queste pagine è quindi evidente. Il testimone ha uno sguardo necessariamente parziale. A lui non si chiede una visione d’insieme, bensì l’efficacia e la credibilità del particolare. Si capisce che vede poco; ma deve vederlo bene. Da questo punto di vista il diario di Gaddo Flego avvince. Scritto a vent’anni di distanza dai fatti, esso conserva una immediatezza impensabile. […] Il genocidio è presente attraverso le fosse comuni, il lutto delle persone, i traumi fisici e morali, il numero incontenibile di orfani. Annotazioni rapidissime acquistano significato lapidario. Ad esempio quelle sulle menzogne di Radio France Internationale e della propaganda governativa francese. Ma anche gli incontri con gli esponenti del Fronte patriottico, quelli più cordiali, quelli più austeri, quelli più misteriosi; l’insensibilità dei giornalisti (ma perché i giornalisti sono sempre quelli che fanno la figura peggiore?). Il diario ruandese di Gaddo Flego è anche un documento prezioso sull’umanitarismo. Ci mostra semplicemente che cosa sia l’aiuto di emergenza. La necessità di fare; i compromessi tra la vita e la morte; le fatiche, i pericoli e le soddisfazioni; i dilemmi morali che non si presentano mai con luminosità cinematografica, ma sempre surrettiziamente, a tradimento; gli imperativi deontologici sui quali non è possibile transigere pena la fine di tutto; il senso inevitabile di abbattimento, di delusione e di vuoto quando tutto è finito. Un testo base direi, nel quale il dettaglio domina, e con esso il senso del credibile e del vero. Tuttavia questa dimensione del racconto passa necessariamente in secondo piano, perché non abbiamo a che fare con un’epidemia o un terremoto, e nemmeno con le devastazioni di una guerra qualunque. Il volenteroso dottore si ritrova dislocato al margine del cerchio entro il quale il male assoluto si sta ancora compiendo. Non sa, non vede, ma percepisce, e con lui i suoi lettori. Ben pochi, in quelle settimane annidate nel cuore dei “cento giorni” ruandesi del 1994, c’erano finiti così vicino. È una fortuna che quel ricordo si sia salvato e che oggi possiamo leggerlo.

dalla prefazione di Pietro Veronese

2 recensioni per Gaddo Flego / Un milione di vite

  1. Marco

    Ero piccolo, ma lo ricordo. Un milione di vite,in 100 giorni. Fu questo il bilancio, drammatico, di uno dei peggiori genocidi della storia, perpetrati dall’uomo contro l’uomo. In un lasso di tempo brevissimo il Rwanda fu teatro di un tremendo e orribile massacro di cui l’Occidente fu freddo spettatore e anzi spesso vergognoso complice.
    Una terra impregnata di sangue e sopraffatta dai corpi, che a migliaia emergevano dal terreno, nel vano tentativo degli hutu di celare le prove di quell’orrendo crimine.
    Testimonianze come quelle di Gaddo Flego sono rare e per questo tanto più preziose: uno dei pochi occidentali a trovarsi in quei luoghi in quelle settimane di inferno, uno dei pochissimi italiani. Vede, ascolta e sente tutto quello che gli accade intorno, accanto e davanti agli occhi. Testimonianze come la sua, con questo libro, mettono nero su bianco ciò che è stato, affinché nessuno possa dimenticare, affinché nessuno possa dire che così non è stato.
    Scriverlo è stato importante, soprattutto per noi che possiamo leggerlo oggi. Ma ciò che Gaddo ha fatto scegliendo di andare in Rwanda in quei mesi è quanto di più straordinario e coraggioso un essere umano possa decidere di fare. E solo lui potrà sapere davvero cosa sia significato.

  2. Ilaria

    “vittime e assassini, o complici, insieme”

    A vent’anni di distanza dall’ecatombe africana del giugno 1994, intercorsa tra comunità ruandesi Hutu e Tutsi con il beneplacito silente delle Nazioni Unite, un giovane medico di Medici Senza Frontiere riscrive la sua esperienza in merito.

    Servendosi del tempo presente indicativo, Gaddo Flego fa chiarezza sulla dinamica di inizio conflitto, sugli interventi politici e sull’informazione edulcorata che circolava all’epoca («Ci abituiamo all’idea che una radio di Stato di un Paese democratico come la Francia racconti ogni giorno una storia del tutto falsificata»). I suoi giorni si svolgono in un andirivieni entro villaggi popolati da feriti da colpi di machete e corpi ammucchiati lungo le strade, tra kit di sopravvivenza, alimenti del Pam (Programma Alimentare Mondiale) e divertissement di fortuna (tra cui un videoregistratore con in dotazione un unico film in vhs: Gandhi). Durante la cura dei pazienti («salvataggi e salvezze senza gioia») e la «corsa demenziale in mezzo ai cadaveri» trova spazio una dimensione privata di convivenza con i collaboratori stretti e i volontari – un gruppo che riesce a mettere a punto strutture funzionanti (ospedali, centri di salute, uffici, autocisterne e serbatoi), il cui testimone verrà lasciato ad altre Ong sopraggiunte.

    Il protagonista apre qualche parentesi di sfogo mostrando una coscienza salda e ancora lucida ma immersa in una fondamentale insensatezza («Ogni giorno mi sento sempre peggio, mi mancano le prospettive, ho la sensazione di non aver influito per nulla […]. Sento tutta la nostalgia del mondo spaccarmi in due e l’innocenza perduta per sempre e la certezza che la morte d’ora in poi mi abiterà senza scampo»); pensieri accompagnati dal sottofondo dei Clash o, in conclusione, dal suggestivo nastro Rwandese Traditionals.

    Più dense, o forse tristemente più esemplificative riguardo la vita interna alle comunità, sono le testimonianze in appendice da parte di quattro sopravvissuti. Attraverso il racconto di Jean Paul Habimana e George Gatera, in particolare, apprendiamo della condizione minacciata dei “nascosti” Tutsi all’interno di abitazioni di famiglie Hutu, moderate ma “nemiche”; una vita alla giornata unita alla perdita dei cari, alla mutilazione, all’improbabile stasi pacifica attuale che vede nuovamente le due comunità miste e coabitanti.

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