Descrizione
Clelia Marchi
Il tuo nome sulla neve
Gnanca na busia
Il romanzo di una vita scritta su un lenzuolo
prefazione di Carmen Covito
prefazione alla prima edizione di Saverio Tutino
Milano, Il Saggiatore, 2012
pp. 98 – € 12,00
Settant’anni, molti ricordi, un solo amore. Può capitare che si perda quell’unico amore e che venga voglia di scrivere. Per sanare la ferita, sfogare la rabbia, colmare il tempo vuoto. Si riempiono fogli, quaderni, ma la carta non basta ancora. Allora capita di aprire un armadio e di prendere un lenzuolo bianco dal corredo, uno di quelli che non si useranno più per riposare, per amare. E ci si rovescia sopra tutta una vita. Si torna alle origini, umilissime, quando si andava a scuola solo d’inverno, con gli zoccoli ai piedi e un cappotto rammendato. Quando si mangiava solo polenta, ché di pane ce n’era poco. Nel resto del tempo bisognava lavorare la terra, seminare, raccogliere. E prepararsi alla guerra, con lo straniero in casa, le tessere al mercato, i muri crivellati, la paura delle bombe e del padrone. Ad alleviare la fatica, l’amore per i figli, quelli allevati e quelli persi. E per un ragazzo dagli occhi azzurri, conosciuto a quattordici anni e sposato a diciotto. Questa è la storia semplice e straordinaria di Clelia Marchi, «gnanca na busia». Quando il marito muore in un incidente, Clelia è già anziana e inizia a trascrivere la storia della sua vita su un lenzuolo a due piazze, distillata in righe numerate, perché non si perda nulla di quel racconto «sul filo della sincerità». Grazie all’Archivio diaristico nazionale, quel lenzuolo è diventato un libro. Il tuo nome sulla neve nasce da una scrittura di sé che diventa terapia e, insieme, testimonianza di una civiltà contadina sempre più remota. Ed è la realizzazione del desiderio di Clelia di vedere letta la sua storia, che sentiva simile a quella di molte altre donne, eppure esemplare.
Clelia Marchi ha trascorso tutta la vita a Poggio Rusco (MN). Il suo lenzuolo-libro è esposto oggi nel Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano (AR).
Noemi –
È un giorno di inverno del 1986, piove. Una signora di 74 anni è appena scesa alla stazione di Arezzo, con lei il sindaco, l’assessore alla Cultura, ma anche parenti e amici. La donna tiene sottobraccio un grosso rotolo che gli altri la aiutano a sostenere, è Clelia Marchi, una contadina mantovana, nata nel 1912 a Poggio Rusco.
Clelia è diretta a Pieve Santo Stefano, dove Saverio Tutino ha fondato, da pochissimi anni, l’archivio dedicato alle scritture autobiografiche degli italiani. A accoglierla c’è anche Grazia Cappelletti, è lei che mi racconta la sua storia: “Aveva le gambe leggermente ricurve, il viso rugoso e espressivo.”
La immagino salire quei sedici scalini portando il peso delle parole, sottobraccio infatti, tiene il lenzuolo su cui ha scritto le sue memorie: “Care Persone Fatene Tesoro Di Questo Lenzuolo Chè C’è Un Pò della Vita Mia”, inizia.
“Si appoggiò sul tavolo laterale e iniziò a srotolarlo piano, togliendo via via i fogli di giornale che aveva messo per proteggere le scritte.” prosegue Grazia. E così, su quel massello si stendono i giorni difficili di Clelia davanti agli occhi increduli dei presenti.
Il lenzuolo è una sorta di monumento funebre dedicato al marito Anteo, morto in un incidente stradale. Dalla sua scomparsa, dormire era diventato sempre più difficile, allora Clelia inizia a scrivere sui cartoncini che trova in casa, rilegandoli all’uncinetto con lane colorate. La carta finì, ma la voglia di tenere memoria di sé, del marito, del suo paese, continuava a chiedere di essere raccontata inarrestabile. Fu così che aprì l’armadio e prese quel lenzuolo: “La mia maestra Angiolina Martini mi aveva spiegato che i Truschi (Etruschi) avevano avvolto un morto in un pezzo di stoffa scritto. Ho pensato che se l’hanno fatto loro, lo posso fare anch’io.”
Ogni sera Clelia si siede sul letto, posiziona il cuscino sulle ginocchia e lascia scorrere la stoffa sotto l’intreccio dei ricordi dando vita a un bellissimo monumento tessile. Cura ogni dettaglio del suo lenzuolo-libro, numera le righe per facilitarne la lettura, inserisce come ornamento fiocchi rosa e fotografie, non manca nemmeno il titolo: “Gnanca nà busia.” Continua su: http://www.libride-scritti.it/clelia-marchi/
Marco –
“Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere”: per chi abbia la fortuna di visitare il Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano (AR), l’incontro con il Lenzuolo di Clelia Marchi rappresenta senza dubbio un momento indimenticabile, di quelli che rimangono per sempre impressi nella memoria. E di memoria a Pieve Santo Stefano ce n’è molta, forse più che nella gran parte del nostro Paese, non fosse altro che per la presenza dell’Archivio Nazionale dei diari, depositario dal 1984 ad oggi di una quantità incredibile di testi privati, diari, epistolari e scritti esemplari che, proprio come il Lenzuolo di Clelia, raccontano la Storia di un intero popolo attraverso la storia di un singolo. Oltre 7 mila documenti conservati e custoditi con cura e devozione quasi sacra, perché in quel luogo magico è conservata la memoria più intima del nostro Paese.
Tutto questo per dire che, se vi siete immaginati – come credo – stanze ricolme di carta, mobili scricchiolanti sotto il peso della memoria ecco, entrando nella stanza dove oggi è custodito l’ormai famoso Lenzuolo comprenderete il perché della sua unicità e della sua emblematicità. Un’anziana donna del Mantovano, rimasta vedova e sola con le sue sofferenze, affida i suoi pensieri alla scrittura; ma rimasta priva di carta e incapace di prender sonno per l’insistente pensiero della morte dell’amato marito, per non perdere l’esigenza e finanche il bisogno fisico di raccontare, decide di fissare l’inchiostro su un insolito foglio, il lenzuolo che un tempo era solita consumare col marito e che quel giorno invece decide di adoperare per scrivere: ne è nato un capolavoro della cultura popolare italiana.
Nel patto silente con il lettore Clelia promette di scrivere solo la verità; promette solennemente che non dirà “Gnanca na busia”. Da questa frase così sincera e carica di dignità umana nascerà l’idea per il sottotitolo, ma anche il senso di un tempo andato in cui forte era la necessità di lasciare un segno del proprio passaggio su questo mondo, una traccia, una testimonianza scritta delle sofferenze, tante, che hanno caratterizzato certe esistenze. Dolori e drammi di una vita spesso fatta più di stenti che di piaceri, ma che nonostante tutto è valsa la pena di essere vissuta. Se non altro per quel testimone che si è potuto lasciare in mano a chi è venuto, viene e verrà dopo di noi.
mp